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POESIE   DIALETTALI

 

L'origine celtica del nostro dialetto è stata sostenuta da molti studiosi; fra i non pochi vocaboli che rimarrebbero a testimoniarlo, si cita il verbo <tröca> dal celtico <trencher> (colpire con le corna) e poi tutti i nomi dei paesi terminati in <uno> (Chiuduno, Comenduno, etc...) che deriverebbero dal celtico <dun> (luogo elevato). Quello che è certo è che durante il dominio dei Longobardi si ha il primo formarsi del dialetto attuale. Fra i documenti del Codice Diplomatico di Mario Lupi, troviamo nell'875 un <formagilo> per l'attuale <formagèl>, nel 928 un <montisèl> e nel 972 un <cop>, vocaboli tuttora vivi, e nel 1068 lo zio viene chiamato <barba>, termine ancor oggi in uso.

Si può ritenere, in conclusione, che nel secolo X già esistesse il dialetto bergamasco, il quale poi nel periodo comunale assunse una completa formazione, tanto da venir usato in atti notarili ed in composizioni specie di carattere sacro, quali una Salve Regina ed un Decalogo, giunti sino a noi e attribuiti alla data 1253. (In questi casi si deve parlare di un misto di italiano e di idiotismi, più che di vero dialetto, e tale modo di scrivere è tuttora di nostri popolani che vogliono sfoggiare una certa cultura ..).

Dal 1350 esiste un <Glossarietto latino-bergamasco>, nel quale sono parole caratteristiche del nostro dialetto e tuttora vive, quali <fomna>,<bernas>, etc. Il Tiraboschi parla anche di una grammatichetta di quel tempo, nonchè di una Canzone per la morte di Nostro Signore, di una Canzone dei Disciplini, etc.

Nel '500 il nostro dialetto viene chiamato <dialetto fachino>, <lingua fachinesca>, ed è oggetto di scherno da parte dei forestieri, specie dei veneti, per certi termini strani, quali <chilò> per <qui>, <grignà> per <ridere>, <ixé> per <così>, etc.

Tuttavia, proprio nel '500, il nostro dialetto comincia a tentare la forma letteraria. Nella biblioteca Comunale di Ferrara esiste infatti un primo tentativo di traduzione in dialetto bergamasco del primo canto dell'Orlando Furioso. Di quel tempo, sono altre le traduzioni parziali, anche del Petrarca, poesie liriche, amorose, satiriche, persino politiche. Degno di menzione il sonetto di Péder de Serniga, per la pace del 1529.                                           (Trascritto adattato all'ortografia odierna)

 

Cà e gacc mangi insèm, e coi agnèi

staghi in la stala ol lüf sensa ofendìi,

crepi i campani in sima ai campanìi

e canti de alegrèza töcc i osèi,

 

vegni a desdot denér la quarta ol mèi

e s'converti i curaci in tacc badìi,

sverezi sü l'amur i cuor zentìi,

piovi vernaza e fiochi cazonzèi.

 

Ol còrp s'alarghi al stìtich de dolcèza,

sgrignasi Iopilach ed dì e nòcc

e s'risani i malàcc et dét et fò.

 

Trebuchi zo di mucc la legna in frèza

e tüta da per sé es lighi in mazòcc

per brüstolì la lüna coi falò!

 

A prescindere da quel misterioso personaggio che il poeta chiama <Iopilach> (qualcuno ha voluto identificarlo addirittura con Gioppino, anche se tutto fa credere che la maschera di Gioppino ebbe a nascere molti secoli più tardi..), non si può dire che il sonetto non sia ancor adesso di un pittoresco effetto.

Nel '600 la nostra poesia dialettale sembra maggiormente fiorire con quanto più decade la letteratura nazionale. Poeti di spicco in questo secolo 'Colombano Bresciani', 'Alberto Vanghetti' e 'Carlo Assonica'.

Fino a tutta la seconda metà del secolo XVIII la poesia dialettale bergamasca non presenta caratteristiche tali da rappresentale l'anima del popolo. La poesia religiosa morta da tempo e ancora in attesa di un cantore. Si possono distinguere, nel primo settecento,  Alfonso Gaetano Della Torre con notevoli componimenti di sonetti e Giuseppe Rota, sacerdote poeta, che con spirito acuto e combattivo, scrisse numerose opere rivolte alla difesa della fede contro l'illuminismo.

Bergamo non riesce a trovare chi, veramente è in grado di rivelare il carattere della razza bergamasca, di cui rivelarne il gusto, l'umore e l'anima. Questo tipo di modello generalmente viene rappresentato da una 'maschera', che nasce dal popolo e va al popolo, interpretandone tutti i suoi aspetti caratteriali.

Lo Zanni della commedia dell'arte, è lo sciocco, che perciò non può essere il tipo bergamasco. Brighella ed Arlecchino, che si vogliono nati il primo nell'alta città di Bergamo ed il secondo nella valle del Brembo, sono stati troppo al servizio del teatro comico.

Soltanto alla fine del 1700, tra le teste di legno del teatro dei burattini sorgerà questo tipo in un personaggio trigozzuto, pomposamente in sorriso, lustro in viso, vestito alla guisa del contado: Giopì. Il suo nome è la deformazione di Giuseppe, la sua patria è Zanica e attribuiti i genitori - Bortolo Zuccalunga e Maria (la Margì) Scatolera. Con lui non solo si arricchiranno le schiere dei burattini, ma sarà il tipo presente a tutta la poesia dialettale bergamasca che seguirà alla nascita della sua maschera.

Antonio Stoppani parlerà e scriverà delle belle valli di Bergamo, delle spettacolari cascate, delle orride gole, delle bianche cime ....

La Valle Seriana è la più ricca di industrie, ma quella del Brembo è la più ricca di artisti. Da qui ebbero origine la famiglia dei Tasso; artisti come Palma il Vecchio, ilSanta Croce, Evaristo Baschenis, e Giacomo Quarenghi; uomini di pensiero e di azione, come Gerolamo Tiraboschi e Carlo Cattaneo; ma precisamente a Stabello, sorriso della Valle Brembana, che da una famiglia di confettieri nacque Pietro Ruggeri, il quale deve essere ritenuto il padre della poesia vernacola bergamasca.

Nel 1891 un fatto nuovo: l'inizio delle pubblicazioni di un giornale umoristico che prese il nome dalla maschera locale: il 'Giopì', attorno al quale si raccolsero tutti i poeti della parlata vernacola bergamasca. Fondatori furono Benvenuto Trezzini, Annibale Casartelli, Teodoro Piazzoni.

L'ultimo tra i poeti più noti della generazione antecedente la grande guerra, ma soprattutto animatore della poesia dialettale, fu Rodolfo Paris, in arte 'Alégher', Da ricordare per i bergamaschi è che, insieme ad amici dopo solenni sbornie, elevarono la Piazza Pontida a feudo ducale con Rodolfo Paris duca, col titolo di Rodolfo ù. In quell'organismo vivo, la poesia bergamasca trovò il suo massimo splendore.

Spunti presi dai libri:

- "Poeti e rapsodi bergamaschi" di Alfonso Vajana

- "Bergamo in poesia" di Coriolano Mazzoleni

- "Poesie del Magatì" di Giuseppe Cavagnari

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